Acquedotto Leopoldino

 

Comune di Collesalvetti

     

 

 

La storia dell'acquedotto

 

Prima della costruzione dell'acquedotto di Colognole, Livorno utilizzava l'acqua proveniente dalle polle del Limone, ma ben presto l'acqua cominciò a scarseggiare e si dovette ripiegare su pozzi e cisterne. Durante il settecento il problema dell'approvigionamento idrico si fece sempre più grave, a causa delle precarie condizioni sanitarie delle strutture da cui si attingeva l'acqua, finchè nel 1762 circa tremila persone si ammalarono e morirono. Negli anni successivi furono iniziate le prime indagini sul territorio, con lo scopo di trovare nuove fonti per l'approvigionamento idrico, ma, di tutte quelle analizzate, nessuna presentava un quantitativo sufficiente a soddisfare le necessità cittadine. Alla fine l’attenzione ricadde sulle acque sorgenti di Colognole, descritte dall’ingegner Bombicci come fresche, limpide e soprattutto abbondanti. Lo stesso Bombicci riteneva opportuno convogliare le acque di Colognole con quelle delle polle di Popogna in modo da garantire maggiori riserve d'acqua per la città di Livorno attraverso un traforo di circa un chilometro e mezzo nel Monte Maggiore. Il 13 aprile 1790 il Salvetti fu incaricato di studiare il modo migliore per incanalare le acque verso Livorno. L’anno successivo, dopo aver studiato la quantità delle acque ed eseguito rilievi del luogo, il Salvetti presentava un resoconto al Granduca Ferdinando III in cui spiegava le motivazioni che lo inducevano a preferire l’utilizzo delle sorgenti di Colognole a quelle di Popogna. L’11 novembre 1792 il progetto del Salvetti fu approvato con Motu Proprio Granducale. La costruzione dell’acquedotto di Colognole prese avvio nel 1793, quando il Salvetti intraprese i primi lavori alle sorgenti. Nel 1799, a causa dell’occupazione di Livorno da parte delle truppe Francesi, i lavori subirono dei rallentamenti. Al Salvetti spetta quindi l’idea generale dell’acqedotto, la scelta delle polle, i primi allacciamenti, il tracciamento del percorso dei diciotto chilometri dei condotti e la costruzione di alcune opere di questi tronchi. Nel 1801 muore il Salvetti e, negli anni successivi, il Governatore di Livorno si occuperà soprattutto della manutenzione delle strutture già erette. Dopo un’analisi dei lavori, eseguita dalla Deputazione locale, nel 1806 la Comunità di Livorno ne decretò la ripresa e, con Motu Proprio, furono commissionati all’ingegner Zocchi. Nel 1809, i lavori passarono all’amministrazione della Comunità, che ne affidò la direzione a Pasquale Poccianti, in sostituzione dello Zocchi. Il Poccianti arricchì il disegno originario di Salvetti prevedendo cisterne, purgatori, casotti e s'impegnò in attività di restauro le quali, però non produssero rilevanti miglioramenti, poiché le acque risultavano torbide. E’ solo nel 1816 che l’acqua viene introdotta in città, all’altezza del viale degli Acquedotti, sfruttando la vecchia conduttura del Limone, e portata alla nuova Fonte della Pina d’Oro attraverso una ramificazione. Tra il 1816 ed il 1826 gli interventi sull’acquedotto furono limitati alla manutenzione ed al restauro. Il Poccianti, riconfermato dalla “Deputazione” nella sua carica, nel 1827 presentò a Leopoldo II un rendiconto relativo all’ultimazione dei lavori. Tra il 1832 ed il 1835 si passò ad operare sulle strade cittadine, per la creazione del condotto che avrebbe distribuito le acque alle diverse fonti. Nel 1858, alla morte del Poccianti, i lavori vennero affidati all’architetto Della Valle il quale si dedicò al restauro, al miglioramento e all’ultimazione dell’acquedotto, che può considerarsi terminato con i primi anni dell’Unità d’Italia.

 

 

 

 

 

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A cura di: Silvia Ioli

 

   

Associazione Culturale GAIA